
Nei mesi in cui questa nostra Voci di Svezia ha pubblicato notizie, aggiornamenti e curiosità dalla Scandinavia, la redazione ha cercato di proporre un’immagine sfaccettata e molteplice del paese di comune interesse. D’altra parte, la Svezia oscilla tra celestiali rappresentazioni di superiore civiltà scandinava all’avanguardia per diritti sociali, eguaglianza e rispetto delle minoranze (come avviene per esempio sul sito informazioni per i viaggiatori stranieri, disponibile qui) e infernali descrizioni che la rappresentando come luogo di conflitti e disgregazione sociale, o addirittura, un “narcostato” (come si afferma qui). Fino ad oggi, tuttavia, Voci di Svezia non aveva ancora trattato temi legati alla violenza di strada e alla cronaca nera, preferendo una narrazione su temi di relazioni internazionali tra Svezia e resto del mondo, cultura e tradizioni del paese scandinavo.
Gli eventi del 4 febbraio nella cittadina di Örebro, Svezia centrale, nella provincia di Närke, impongono naturalmente un cambio di prospettiva. “Il più grande massacro della storia della Svezia”, come ha affermato il Ministro di Stato Ulf Kristersson (qui disponbile) segna un’ulteriore transizione, una più marcata piega alla drammatica fase di trasformazione che sta avendo luogo nel paese. Come ricostruisce Mats Knutsson, editorialista di SVT, la televisione nazionale, “dopo un mese di esplosioni da record e l’omicidio a sangue freddo di un provocatore che bruciava pubblicamente il Corano, la sparatoria di massa a Örebro segna un’altra soglia di violenza. Quando pochi pensavano che la situazione non potesse peggiorare, questa è peggiorata” (intervista disponbile qui). Knutsson fa riferimento alla numerose esplosioni notturne dolose che sono state registrate negli ultimi tempi e all’omicidio di Salwan Momika, cittadino iracheno di fede cristiana, fuggito dal proprio paese (dove intendeva, secondo diverse testimonianze, costituire un proprio partito politico e una milizia privata fondamentalista, come si legge qui) e giunto in Svezia nel 2018. Nel 2023 aveva suscitato scalpore la sua iniziativa, rivendicata a titolo della libertà d’espressione, di bruciare pubblicamente il Corano: è stato assassinato, durante una diretta su Tik Tok, nella sua casa di Södertälje, a sud di Stoccolma, lo scorso 30 gennaio (più notizie qui).
Quest’ultimo omicidio aveva suscitato una vasta eco di polemiche e reazioni in Svezia; eppure, il confine di violenza e brutalità che esso aveva segnato solo pochi giorni fa, il 4 febbraio è stato ferocemente infranto, con l’omicidio di massa che ha avuto luogo presso il Campus Risbergska a Örebro.
Cosa è successo?
Alle 12.33 del 4 febbraio, la polizia di Örebro riceve una segnalazione per un caso di violenza alla scuola Risbergska, un istituto di formazione per adulti, che ospitava anche dei corsi di svedese per cittadini di recente immigrazione. All’arrivo delle forze dell’ordine, come ricostruisce il giornalista Andreas Eriksson nella programmazione speciale di P3, terzo canale dell’emittente radiofonica nazionale Sveriges Radio (disponibile qui), non sono chiare le proporzioni dell’evento. In questa condizione di incertezza, Eriksson e i suoi colleghi possono avvicinarsi all’edificio scolastico senza che nessuno li fermi, nonostante all’interno il pericolo non sia ancora cessato. Col passare del tempo, il quadro si fa più chiaro e la polizia comunica, anche ai rappresentanti dei media, che è pericoloso restare nei dintorni dell’istituto.
La vera natura dell’evento si chiarisce quando cominciano a circolare i primi video, ove si vedono dei ragazzi fuggire spaventati, oppure rifugiarsi e barricarsi nelle aule o in cui infine si vedono arrivare numerosi mezzi della polizia a sirene spiegate.
Alle 17.30, in una prima conferenza stampa, il direttore della polizia locale di Örebro, Roberto Eid Forest, comunica che “una decina di persone è stata assassinata” (qui l’articolo). Nella stessa conferenza, si dà notizia che l’autore della strage, trasportato in ospedale, è egli stesso deceduto.
Alle 19.30 il Ministro di Stato svedese, accompagnato dal Ministro della Giustizia Gunnar Strömmer, descrive l’evento come “il più grave omicidio di massa della storia della Svezia” (qui). Davanti ai giornalisti, Kristersson afferma che “è difficile rendersi conto della portata di ciò che è accaduto: l’oscurità si è posata sulla Svezia stanotte”.
In quelle stesse ore, le prime testimonianze dei sopravvissuti riportano il quadro di terrore e di orrore degli eventi di Örebro. La studentessa Tuva (nel podcast di SR – P3) racconta di essersi trovata in classe come tutti gli altri giorni, quando lei e i suoi compagni hanno cominciato a sentire degli spari; se, dapprima, hanno cercato di mantenere la calma, sono poi caduti nel panico quando hanno sentito i colpi ripetersi e avvicinarsi. Stretti uno accanto all’altra, si sono barricati in classe: “ho chiamato mia mamma perché pensavo di stare per morire. Le ho detto che le volevo bene e che avevo paura”, ha dichiarato Tuva. Questi, anche dentro la sua aula, restava incredula: “Queste cose non succedono in Svezia”. La studentessa Mine Demir, in un’intervista per SVT (qui), riferisce che l’autore del massacro non colpiva causalmente, ma che inseguiva le sue vittime per i corridoi dell’istituto scolastico.
Perché
Nella notte trapela che il colpevole è un uomo di 35 anni. Il capo della polizia locale Eid Forest conferma che “non vi sono motivi ideologici dietro la sparatoria” (qui la dichiarazione in conferenza stampa) e che si contano undici vittime, non ancora identificate con certezza.
Nella serata del 5 febbraio viene reso noto che il nome del principale sospettato è Rickard Andersson, residente in un monolocale a Örebro, disoccupato nullatenente, detentore di regolare porto d’armi. Questi avrebbe sparato a dieci persone e poi avrebbe puntato l’arma contro se stesso (qui). I motivi dietro il suo gesto restano ancora non chiari, così come non è esclusa un’eventuale collaborazione con dei complici. Tobias Hübinette, ricercatore di Studi Sociali presso l’Università di Karlstad, ancorché senza un supporto di prove cogenti, ipotizza un collegamento tra l’azione di Andersson e il luogo scelto per la sparatoria, una scuola di formazione per adulti diffusa a livello nazionale e nota col nome di Komvux, forma abbreviata dello svedese Kommunal vuxenutbildning, ‘formazione comunale per adulti’, un tipo di istituzione finanziata pubblicamente che offre corsi di formazione scolastica e professionale, spesso anche sede di corsi di lingua svedese per immigrati e pertanto frequentata da studenti di età adulta, spesso di recente immigrazione (la sua versione sul blog di Hübinette si trova qui).
Andersson viene descritto come socialmente isolato. Come da prassi giornalistica, la sua identità è stata precedentemente tenuta riservata, così quella delle vittime, di cui non si conosce nemmeno la cittadinanza, se svedese o straniera. Andersson era stato iscritto all’istituto Risbergska fino al 2021: non è possibile escludere che abbia sparato a persone che conosceva.
Dopo
La notizia della sparatoria di massa a Örebro ha occupato brevemente le aperture dei media italiani nella serata del 4 febbraio. Alla data del 5 le successive notizie e gli aggiornamenti sono invece già stati declassati; nella stessa giornata il sito di Repubblica ha pubblicato, sotto la notizia del massacro, un articolo di archivio del 1° marzo 1986, il giorno successivo all’omicidio di Olof Palme, in un’impercettibile collegamento di violenza tra eventi storici lontani tra loro e distanti per motivazioni e implicazioni politiche e sociali. Nella serata del 5 la trasmissione Fuori dal coro, su Rete4, trasmette un servizio dal titolo “Immigrati, Svezia fuori controllo. L’integrazione è fallita”, in cui si enfatizza la violenza, si accumulano filmati eterogenei che distorcono e manipolano il racconto della verità e si raccolgono testimonianze tendenziose per offrire una visiona ideologica della situazione sociale del paese. In questa lettura, l’accostamento tra gli eventi di Örebro e le tensioni sociali ed etniche del paese viene dato per scontato e il paese viene raccontato come ”fuori controllo” a causa dell’immigrazione (il video qui): questo nel giorno in cui un cittadino svedese ha fatto fuoco su degli innocenti che frequentavano una scuola per integrarsi, convivere pacificamente e contribuire produttivamente alla vita del paese; innocenti come Salim Iskef, che in Svezia aveva progettato di sposare la sua compagna Kareen Elia, anche lei siriana richiedente asilo in fuga dalla guerra civile in Siria (articolo qui).
La Svezia esce scossa e frastornata da questo nuovo evento drammatico. Collegare atti di violenza diversi tra loro e associarli in una comune denominazione di origine svedese è scorretto ed una falsificazione della storia, eppure l’immagine del pomeriggio d’inverno di Örebro appare al 6 febbraio già sbiadita e lontana, conchiusa nella gelida violenza che non appare attenuata da qualche ancorché simbolico atto di condivisione e vicinanza: nessuna luce di candela rischiara il senso di questa tragedia, nessun tag virale o #jesuisörebro o #Istandwithörebro.
Presto l’esecutivo di Kristersson entrerà in possesso di tutte le informazioni su quanto avvenuto. All’interno del dibattito politico si discuteranno diversi posizionamenti; nel giorno della tragedia, tuttavia, tutti i più importanti leader di partito hanno espresso solidarietà e non hanno condiviso letture politiche o strumentali degli avvenimenti. La democrazia svedese sopravviverà a questo tremendo avvenimento, che si è consumato, come poco si è fatto notare al di fuori della Svezia, in un luogo simbolico: una scuola che ospitava corsi di formazione per adulti e di lingua svedese per cittadini stranieri, un luogo di integrazione e sviluppo personale, che produce un’idea positiva di società, produttiva e in movimento progressivo, ove ai suoi cittadini sono dati strumenti per proseguire, integrare o riavviare la propria formazione e competere più consapevolmente sul mercato del lavoro; alla scuola Risbergska la lingua svedese è strumento di inclusione ed integrazione culturale ed è insegnata gratuitamente. Un luogo simbolico e, pertanto, degno di una riflessione storico-sociale, poiché le Komvux vennero istituite nel 1968, in pieno boom economico, durante gli anni della socialdemocrazia, quando il welfare svedese toccava gli apici del suo universalismo sociale che, di lì a pochi anni, avrebbe dato vita a una riforma costituzionale secondo la quale la Svezia si sarebbe dichiarata apertamente un paese multiculturale. Il massacro del 4 febbraio, avvenuto in un luogo simbolico, emblema di un progetto democratico e plurale, è una ferita inferta allo Stato, un segno della fragilità e perforabilità della nostra società, in Scandinavia come nel resto d’Europa.
Se l’oscurità è scesa sulla Svezia, da queste tenebre riemergerà, come altrove aveva già affermato Jens Stoltenberg, Ministro di Stato norvegese all’indomani della strage di Utøya, quando un suprematista bianco, Anders Behring Breivik, pianificò ed eseguì il massacro di 77 persone: “la nostra risposta ha preso forza durante le ore, i giorni e le notti difficili che abbiamo dovuto affrontare, ed è ancora più forte questa sera: più apertura, più democrazia. Determinazione e forza. Noi siamo questo”.