Terrore nelle strade di Bruxelles
L’attentato contro i tifosi svedesi, il problema della sicurezza e indossare i colori della Svezia in pubblico
La sera del 16 ottobre, la capitale del Belgio, Bruxelles, è stata colpita da un efferato attacco terroristico. L’attentato, avvenuto durante un incontro calcistico tra la nazionale svedese e quella belga, ha colpito tre cittadini svedesi: due tifosi, rispettivamente di circa sessanta e settant’anni, hanno perso la vita, mentre un terzo è stato ferito gravemente. Secondo la ricostruzione degli eventi del Göteborgs-Posten, l’attentato è stato compiuto alle 19:15 quando un uomo di origine tunisina di 45 anni, Abdesalem Lassoued, ha dapprima aperto il fuoco contro un taxi e l’entrata di un edificio, per poi scappare a bordo di uno scooter. L’uomo è stato poi raggiunto e successivamente ucciso dalle forze speciali belghe. Poco prima dell’attentato, Lassoued, riportano i media belgi, avrebbe rivendicato sui social la sua appartenenza all’organizzazione dello Stato Islamico (ISIS), confermando la matrice terroristica dell’attacco. In una conferenza stampa tenutasi il pomeriggio del 17, il primo ministro belga Alexander De Croo ha sostenuto che l’attentatore, risiedente irregolarmente sul territorio del Belgio, avrebbe preso di mira in modo specifico i tifosi svedesi, aggiungendo tuttavia che delle indagini sull’accaduto erano in corso.
Uno degli obiettivi principali degli inquirenti è stato quello di comprendere se Lassoued si fosse mosso da solo o all’interno di un nucleo organizzato. Come riporta l’Aftonbladet, un elemento cardine per fare luce sulla preparazione dell’attentato risulta essere l’arma dell’attentatore, un fucile semi-automatico AR-15. Infatti, Lassoued viveva irregolarmente in Belgio e dunque era impossibilitato a procurarsi un’arma del genere legalmente, il che lascia pensare che una partecipazione del crimine organizzato non sarebbe da escludersi. Conseguentemente, il 25 ottobre gli inquirenti belgi hanno fermato un uomo sospettato di essere collegato con l’arma di Lassoued; il provvedimeto ha seguito a stretto giro l’arresto, avvenuto il 24 ottobre, di due sospetti complici di Lassoued in Francia, mentre il 27, la polizia spagnola ha comunicato di aver arrestato nella cittadina di Benhavìs un uomo sospettato di essere legato all’attentato attraverso la sua partecipazione nel traffico internazionale di armi.
Allo stesso tempo, nelle ore successive all’attentato, maggiori informazioni sul conto dell’attentatore e il movente sono state rese pubbliche. Secondo il Guardian, Lassoued sarebbe arrivato in Europa attraverso l’Italia nel 2011, mentre SVT e Sydsvenskan riportano come egli avesse vissuto in Svezia tra il 2012 e il 2014, dove avrebbe scontato una condanna a due anni di carcere per possesso di cocaina. Per quanto riguarda il movente, in base ad alcuni video pubblicati la notte dell’attentato, Lassoued avrebbe detto di “uccidere gli svedesi per vendicare i musulmani, il che lascia intendere un collegamento con le recenti manifestazioni di Rasmus Paludan e Salwan Momika (di cui abbiamo parlato nell’edizione di gennaio di Voci di Svezia) dove diverse copie del Corano sono state bruciate. Secondo Magnus Ranstorp, ricercatore alla Swedish Defense University (Försvarshögskolan), i recenti roghi del Corano avrebbero attirato l’attenzione di diversi gruppi terroristici verso la Svezia, in particolare Al-Qaeda e IS. In più, sempre secondo Ranstorp, la situazione sarebbe ulteriormente esaperata da una campagna di disiformazione, iniziata nel decennio scorso, che mira a costruire un’immagine negativa della Svezia in Turchia e nei paesi Arabi (qui potete sentire un breve estratto di un’intervista Ranstorp rilasciata per Sverigesradio).
L’attacco ai tifosi svedesi, che ha enormemente scosso l’opinione pubblica svedese, ha riaperto il dibattito -mai del tutto sopito- sul tema della sicurezza, sia interna al paese che più in generale al livello europeo, di cui ci siamo occupati nelle precedenti edizioni di Voci di Svezia. Il giorno seguente all’attentato, il 17 ottobre, il primo ministro Ulf Kristersson ha affermato che “mai nella sua storia recente, la Svezia e gli interessi svedesi sono stati così profondamente minacciati come ora” e che “sappiamo da un po’ di vivere in tempi bui, “ riferendosi probabilmente anche al drastico aumento della violenza riconducibile al crimine organizzato. Kristersson ha dunque aggiunto che è necessario “proteggere la nostra società democratica ed aperta, non saremo noi a doverci adattare ai terroristi [...] Questo è il momento per maggiore sicurezza, maggiore cautela, maggiore vigilanza.”
Le parole del primo ministro sembrano essere una risposta diretta ad una sensazione generale di smarrimento e insicurezza, probabilmente sintetizzata alla perfezione dal dibattito relativo all’indossare o meno i colori della Svezia in pubblico. In un intervento per la trasmissione televisiva Aktuellt di SVT, il portavoce della Svenska Fotbollsförbundet (la Federazione Svedese Calcio) Fredrik Reinfeldt, presente a Bruxelles la notte dell’attentato, ha ricordato come i tifosi presenti alla partita interrotta dall’attacco nascondessero le proprie casacche per impedire di essere riconosciuti dagli attentatori. “Siamo stati invitati a toglierci le nostre maglie [ndr. della nazionale], ma questo non sarà il mio invito per il futuro”, ha sostenuto Reinfeldt che ha aggiunto “La mia speranza [...] è che si potrà stare lì [ndr. allo stadio] è con le proprie magliette. Quindi voglio che ciò accada anche in futuro e dobbiamo osare continuare a vivere.” Un parere in qualche modo contrario a quello espresso da Reinfeldt proviene da Janne Andersson, l’allenatore della nazionale di calcio svedese, il quale ha raccontato di aver indossato i colori della nazionale durante il giorno del 16 ottobre mentre era in giro per la città. “Non penso lo farò più” ha affermato in un’intervista, sempre per SVT.
In conclusione, vi lasciamo con un interessante quanto estremamente provocatorio articolo d’opinione scritto da Anders Lindberg, il caporedattore politico dell’Aftonbladet. Secondo Lindberg, i Democratici Svedesi, partito di destra estrema guidato da Jimmie Åkesson, e in misura minore l’intero esecutivo di Kristersson, “ci hanno reso l’obiettivo dei terroristi” a causa di politiche discriminatorie nei confronti delle minoranze etniche e religiose in Svezia. Potete leggere il pezzo di Lindberg qui.