"Se i bambini in età scolare sono affamati è colpa dei loro genitori"
Lena Andersson e le abitudini alimentari degli scolari svedesi
Un editoriale della scrittrice e giornalista Lena Andersson, pubblicato su Svenska Dagbladet lo scorso 20 maggio, ha generato un forte dibattito pubblico e sollecitato una riflessione importante nella società svedese.
Nell’articolo, intitolato “Se i bambini in età scolare sono affamati è colpa dei genitori” (disponibile qui), l’autrice prende posizione su recenti esiti di sondaggi, relazioni delle associazioni a sostegno delle famiglie indigenti e precedenti approfondimenti giornalistici, secondo cui nelle mense scolastiche si registrerebbe un maggiore consumo di cibo al lunedì mattina – dopo il week-end in cui la scuola è stata chiusa – e al venerdì. L’interpretazione prevalente del fenomeno aveva ricollegato il maggiore consumo alimentare a talune situazioni economico-sociali difficili nelle famiglie degli studenti, che, dunque, non possono garantire pasti regolari. Testimonianze e esperienze di povertà sono allora state raccolte da numerosi quotidiani: ancora Svenska Dagbladet riferisce ad esempio di una madre, profuga dalla Siria, e della difficoltà di gestione del budget familiare (articolo di Jenny Nyman qui). L’esigenza di risparmio la obbligano a frequentare strutture con prezzi calmierati per famiglie a basso reddito. Inevitabilmente, prevalgono le scelte alimentari più povere (meno carne), ma più caloriche ed elaborate (cioccolate e snack, per esempio), capaci anche di dare una immediata, ancorché rapidamente evanescente, impressione di sazietà.
Sul tema era intervenuto qualche tempo prima il Partito Socialdemocratico Svedese, ora all’opposizione, con la proposta di tenere aperte le scuole anche durante il periodo di pausa estivo (più breve rispetto all’Italia in quanto sia la scuola primaria che secondaria riprendono ad agosto), con una serie di attività gratuite per l’utenza e con l’attivazione del servizio mensa (articolo di Göteborgs-Posten qui).
Lena Andersson era partita proprio da questa ultima proposta, ovvero l’idea di uno sostegno alle famiglie più disagiate, per esporre un punto di vista divergente. Il suo editoriale criticava infatti l’uso strumentale della situazione di disagio effettuato dai socialdemocratici: la scrittrice sosteneva infatti che la sollecitazione ad un intervento – espresso dalla leader del partito socialdemocratico Magdalena Andersson (ex primo ministro, sconfitto nelle recenti elezioni tenute nel 2022, che hanno premiato il blocco “borghese” conservatore, guidato da Ulf Kristersson) – servisse soprattutto ad un indicare una responsabilità politica del governo attuale. Per questa ragione, Lena Andersson apre il suo articolo con un incipit quasi ironico: ”negli ultimi nove anni abbiamo avuto un governo conservatore per sei mesi e già i bimbi svedesi fanno la fame”.
Pur con un inizio polemico, l’articolo non si sviluppa successivamente attorno a una dialettica di opposizione rispetto ai socialdemocratici: problemi di alimentazione e si sostentamento per le famiglie disagiate preesistevano all’insediamento dell’amministrazione Kristersson e – questa è la tesi principale dell’autrice – sono responsabilità dei genitori. In una delle società più avanzate, progredite dal punto di vista umanitario e con una rete di supporto solidale e statale rilevante, il problema della “fame” sussiste solo come spunto politico: nella dinamica familiare, ritiene Andersson, occorre stabilire delle priorità che garantiscano comunque pasti regolari anche durante la pausa fine settimanale. Gli adulti dovrebbero dunque rinunciare a spese voluttuarie non necessarie e concentrarsi solo sull’essenziale. La stessa autrice dell’editoriale ricorda di essere cresciuta in un contesto che non permetteva grandi variazioni sul tema alimentare e di aver regolarmente assunto havregrynsgröt, zuppa d’avena, ad ogni colazione: un alimento economico, popolare, ma nutriente e capace di allontanare il senso di fame. Dunque, ridurre, scegliere cibi economici, assegnare la priorità familiare alla cura – anche alimentare – dei più piccoli.
La reazione alle posizioni della Andersson sono state veementi. Nils Harnesk, su Piteå-Tidningen (articolo qui), sostiene invece che sia responsabilità della società intervenire e prevenire, classificando le affermazioni delle autrice come “disprezzo verso gli individui ai margini della società” e accusando la Andersson di propalare una prospettiva moralistica della società in cui, peraltro, la colpa del fallimento economico di una famiglia ricade sulle stesse vittime della povertà. Soledad Cartagena, sul quotidiano di opinione on line Kvartal (qui), ricorda come nel romanzo di debutto della scrittrice, Var det bra så? (1999; Desidera altro?), le difficoltà economiche di un gruppo di studenti nel finzionale quartiere periferico di Stensby (modellato sulla reale Tensta, nella periferia nord-occidentale della capitale) fossero vissute come una concreta limitazione di libertà personale e come soglia di sbarramento verso un progresso sociale. Tobias Holmgren, infine, sulla pagine di Värmlands Folkbald (qui), si chiedeva come potessero essere sfuggiti due ulteriori dati nell’analisi di Andersson, ovvero l’inflazione – che ha portato ad un aumento di prezzi per alcuni generi alimentari davvero molto significativo – e l’allargamento della base di popolazione in condizione di povertà che risulta dagli indicatori statistici nazionali.
La ex premier Magdalena Andersson è intervenuta direttamente nel dibattito, sostenendo che le indicazioni di un maggiore consumo di cibo nei giorni estremi della settimana non fossero state prodotte dallo stesso partito, ma dalle statistiche delle associazioni di supporto alle famiglie disagiate e che la proposta di intervento avanzata dal suo gruppo politico si muovesse nell’ambito della collaborazione istituzionale.
Probabilmente, come è stato scritto nell’editoriale a commento della riflessione di Andersson firmato da Karl Hallerup sulla pagine di Borås Tidning (qui), è vero che “la responsabilità collettiva è la cosa più bella che ci sia”.