Durante il 2023, la parola “sicurezza” è stata senza dubbio centrale nel vocabolario politico svedese. In un anno denso di avvenimenti che hanno scosso l’opinione pubblica, dai crimini dei gruppi narcotrafficanti sempre più efferati allo shock dell’attentato di Bruxelles del 16 ottobre, il concetto di säkerhet (sicurezza, appunto) ha acquisito un valore ancora più centrale e determinante nel dibattito pubblico nazionale. In questo senso, i mesi di novembre e dicembre non sono stati da meno in quanto ad avvenimenti che hanno testato l’anelito svedese alla sicurezza e che hanno dimostrato come la presenza di crisi internazionali più o meno vicine (come la guerra in Ucraina e il conflitto nella Striscia di Gaza) possano determinare instabilità anche in luoghi apparentemente slegati da essi. Dunque, cercheremo di navigare e comprendere tali avvenimenti, i quali hanno trattato due temi piuttosto scottanti e che in parte già conosciamo: il contrasto allo spionaggio russo e le accuse di terrorismo mosse nei confronti del parlamentare socialdemocratico Jamal El-Haj.
Il 15 novembre, Henrik Olin, Pubblico Ministero presso la Corte d’Appello Svea (Svea hövrätt), ha presentato ricorso contro la decisione del tribunale di Stoccolma di assolvere un cittadino russo da un’accusa di spionaggio. Come si legge dal comunicato rilasciato dal Åklagarmyndigheten (l’Ufficio del Pubblico Ministero), l’uomo, di circa sessant’anni, avrebbe gestito il reclutamento di agenti per i servizi segreti russi sul territorio svedese per circa dieci anni. L’attività dell’accusato, che secondo il Pubblico Ministero è comprovata, sarebbe dunque da giudicare con una interpretazione della legislazione contro le attività illegali di spionaggio (grov olovlig underrättelseverksamhet) più ampia rispetto a quanto non abbia già fatto il tribunale di Stoccolma.
La notizia, ripresa da SVT Nyheter e l’agenzia di stampa TT, fa tornare alla mente l’importante indagine condotta da SVT (in collaborazione con le emittenti di stato norvegese, danese e finlandese) che ha mappato la grande e complessa rete di spionaggio russa sul territorio svedese, di cui ci siamo occupati nell’edizione di aprile. In particolare, per chi avesse cominciato a leggerci soltanto ora, i giornalisti di SVT avrebbero identificato ben 21 spie, ufficialmente inquadrate come personale diplomatico russo, attive in Svezia negli ultimi anni sfruttando la protezione prevista dalla Convenzione di Vienna sull’immunità diplomatica. L’inchiesta, probabilmente anche in virtù della sua enorme eco internazionale, è riuscita a mostrare come la Svezia - e per esteso le regioni baltica e nordeuropea - sia sempre più strategicamente importante all’interno del panorama geopolitico internazionale, soprattutto all’indomani dello scoppio della guerra in Ucraina. Infatti, la rottura della storica neutralità della Svezia e della Finlandia (una scelta strategica per la prima, una conseguenza della Seconda guerra mondiale per la seconda) ha determinato un’alterazione dell’assetto geopolitico del Nord Europa particolarmente invisa alla Russia, la quale ha dimostrato di avere tutto l’interesse nell’evitare che la Nato, già allargatasi a Nord-Est con la recente adesione della Finlandia, possa infine inglobare anche la Svezia superando l’impasse diplomatico con la Turchia (ormai risolto) e l’Ungheria.
Le modalità con le quali la Russia starebbe tentando di contrastare la realizzazione di questo nuovo status quo geopolitico in Nord Europa sono molteplici, ma possono essere riassunte in una sola parola: destabilizzazione. Secondo Wolfgang Hansson, reporter di Aftonbladet ed esperto di terrorismo, la strategia della Russia verte verso due direttrici, esaminate in un articolo del 29 novembre: creazione di divisioni tra i paesi occidentali così come tra l’Occidente e il resto del mondo, e stabilire le condizioni per un’escalation militare nel Baltico.
Infatti, Hansson fa notare come la Russia stia attualmente utilizzando la pressione migratoria ai confini con la Finlandia come arma di destabilizzazione, una strategia già utilizzata durante la crisi migratoria del 2015. L’obiettivo sarebbe quello di costringere la Finlandia a chiudere le sue frontiere (cosa effettivamente accaduta il 28 novembre) al fine di rappresentare il paese nordico, e per esteso l’Occidente tutto, come piagato da una doppia morale in quanto sigilla i propri confini nonostante sostenga di proteggere il diritto d’asilo dei migranti, provenienti prevalentemente da Africa e Medio Oriente. Hansson riporta come il Capo di stato maggiore dell’esercito svedese (Försvarstabschef) Michael Claesson, in un’intervista per SVT rilasciata il 28 novembre, abbia messo in guardia sul possibile utilizzo dei flussi migratori da parte della Russia come arma anche contro la Svezia, attraverso l’invio di navi cariche di migranti dall’exclave russa di Kalinigrad.
Allo stesso tempo, la Russia si starebbe impegnando ad esacerbare le tensioni diplomatiche che si registrano tra la Svezia, la Turchia e l’Ungheria. Infatti, secondo Hansson, la diplomazia russa starebbe cercando di impedire l’accesso della Svezia alla Nato sfruttando sia la postura internazionale volubile della Turchia, che tuttavia ha infine accettato la candidatura svedese, che la dipendenza dell’Ungheria dalla Russia per le forniture energetiche. A questa situazione già delicata si accompagna anche la campagna di sabotaggio del gasdotto subaqueo tra Estonia e Finlandia e del cablaggio sottomarino per le telecomunicazioni tra Svezia ed Estonia. Queste azioni, sostiene Hansson, sarebbero mirate a provocare una reazione militare da parte della Nato, creando i presupposti per ulteriori escalation nell’area.
Che la Russia stesse impiegando una strategia mirata al divide et impera nei confronti dell’Europa è ulteriormente confermato da due inchieste, una condotta dall’Expressen nello scorso mese di maggio e una più recente dell’emittente finlandese Yle (riportata qui dal The Local) pubblicata ad inizio dicembre, secondo le quali i servizi segreti russi avrebbero paventato l’idea di inscenare dei roghi del Corano in Svezia nel 2022. Nonostante non sembra ci siano prove che suggeriscano l’attuazione di questi piani sul territorio svedese, sembrerebbe che diverse manifestazioni, sempre organizzate dai servizi segreti russi, abbiano avuto luogo in importanti città europee come Parigi, L’Aja, Bruxelles e Francoforte tradendo un modus operandi simile a quello impiegato da Rasmus Paludan o Salwan Momika. L’oggetto di queste manifestazioni, tuttavia, sono state bandiere turche e immagini del presidente Erdoğan, bruciate al fine di provocare la reazione della Turchia e incolpare l’Ucraina: nei filmati e nelle fotografie delle manifestazioni, infatti, spesso i protagonisti sono rappresentati come cittadini ucraini. In questo modo, si deduce dalle inchieste, la Russia potrebbe contemporaneamente impedire che la Turchia si impegni a favore dell’Ucraina e, attraverso ciò, insidiare la coesione dei paesi occidentali a sostegno del paese esteuropeo.
Ad ogni modo, i servizi segreti russi non sembrerebbero essere gli unici attori esteri attivi più o meno segretamente sul territorio svedese. Infatti, in una lettera indirizzata al Ministro della giustizia svedese Gunnar Strömmer, il ministro israeliano per diaspora e contrasto all’antisemitismo Amichai Chikli avrebbe informato la Svezia della presenza attiva di Hamas nel paese. Nel messaggio, il cui contenuto è stato rivelato il 28 novembre al quotidiano ETC, sarebbe stata anche indicata l’identità del capo della cellula svedese del gruppo islamista: un incensurato a sua volta legato a un nome che tra novembre e dicembre è stato al centro del dibattito pubblico e politico svedese, Jamal El-Haj.
In una concitata sessione di dibattito del parlamento svedese tenutasi il 15 novembre, il Primo ministro Ulf Kristersson, rivolgendosi alla leader dei Socialdemocratici Magdalena Andersson, ha denunciato la presenza di un “simpatizzante del terrorismo in certi ambienti socialdemocratici,” riferendosi al parlamentare socialdemocratico Jamal El-Haj. Nato nel 1960 e laureatosi in sociologia in Libano nel 1982, El-Haj ha assunto la carica di parlamentare in Svezia nel 2018 in rappresentanza del Comune di Malmö (come si legge sul sito del parlamento svedese). Il suo nome ha tuttavia attirato l’attenzione pubblica nel maggio 2023 per aver preso parte alla Conferenza dei Palestinesi Europei tenutasi proprio nella città di Malmö. La partecipazione di El-Haj ha destato particolare scandalo in virtù dei controversi legami tra il comitato organizzatore dell’incontro e gli ambienti estremisti di Hamas, racchiusi nella figura del presidente della Conferenza Amin Abu Rashid, attivista palestinese-olandese arrestato lo scorso giugno con l’accusa di aver finanziato illecitamente il gruppo islamista attraverso cospicue donazioni in denaro dall’Olanda. Come ha riportato l’Aftonbladet, sia Israele che l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina avrebbero messo in guardia i partecipanti all’incontro circa il legame tra la Conferenza e Hamas, spingendo i Socialdemocratici, il partito di Sinistra (Vänsterpartiet) e i Verdi (Miljöpartiet), la cui partecipazione era prevista dal programma della conferenza, a ritirare le proprie delegazioni. Nonostante ciò, El-Haj vi ha ugualmente preso parte, a suo dire di propria iniziativa a causa della suo forte sentimento di attaccamento alla causa palestinese e di vicinanza con molti partecipanti alla conferenza.
L’accusa di essere un “simpatizzante del terrorismo” lanciata dal Primo ministro svedese a El-Haj è particolarmente significativa, soprattutto se letta sullo sfondo dell’inizio della guerra nella Striscia di Gaza e dell’attentato contro i tifosi svedesi di Bruxelles, entrambi accaduti nel mese di ottobre. In una Svezia dove la questione della sicurezza è quantomai centrale, con la consapevolezza di aver attirato l’attenzione dei principali gruppi terroristici islamici (al-Qaeda e ISIS in particolare) a causa dei roghi del Corano perpetrati dall’estrema destra, l’ipotesi di una infiltrazione di Hamas (che l’Unione Europea considera come gruppo terroristico) nel parlamento svedese rappresenterebbe un grosso problema di sicurezza interna dal punto di vista di Kristersson, che proprio su questo tema ha basato buona parte dell’indirizzo politico del suo esecutivo. Nonostante ciò, la grave accusa del Primo ministro non è ancora suffragata da prove che confermerebbero l’appartenenza di Jamal El-Haj ad Hamas, il quale, da parte sua, ha tenuto a precisare il 16 novembre che “chi mi chiama terrorista o simpatizzante del terrorismo sta mentendo. Prendo fortemente le distanze da Hamas.”
Ad ogni modo, il caso El-Haj è tutto fuorché concluso e non mancheremo di tornare a parlarne qualora dovessero arrivare nuovi aggiornamenti.