NATO, Svezia e Turchia: a che punto è la trattativa? - Un approfondimento

Il 23 ottobre il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha firmato il Protocollo di adesione della Svezia alla NATO e l’ha inviato alla Grande Assemblea Turca dove adesso dovrà passare attraverso tutte le procedure parlamentari, dovrà essere approvato dalla commissione Affari Esteri e ovviamente dovrà essere discusso e votato in aula. Dopo di ciò Erdoğan potrà finalmente firmare la proposta e farla diventare legge. In Svezia le reazioni sono state moderatamente entusiaste da parte del Primo Ministro Ulf Kristersson e degli altri membri del governo, perché probabilmente non sarà neanche questo l’atto che metterà la parola fine a questa lunga storia. I farraginosi procedimenti parlamentari possono essere una formidabile palude dove impantanare ancora una volta la ratifica, a seconda delle necessità sullo scacchiere internazionale del Presidente turco. E infatti proprio il 16 novembre la commissione Affari Esteri, dopo aver iniziato a discutere il Protocollo di adesione, ha aggiornato la seduta a data da destinarsi, dopo una mozione del partito di maggioranza di Erdoğan. La mozione chiedeva un rinvio per permettere a tutti i deputati di essere messi al corrente degli sviluppi e dei passi avanti fatti dalla Svezia. Potrebbe anche essere sentito in audizione l’ambasciatore svedese ad Ankara per chiarimenti. Come racconta Tomas Thorén corrispondente SVT ad Ankara, il leader turco ha il completo controllo sul processo dato che il suo partito detiene la maggioranza sia in Commissione che in aula. Il furbo mercante ottomano con le sue interminabili piroette e macchinazioni, a prima vista disordinate, ha finora cercato di strappare alla Svezia e agli alleati NATO le migliori condizioni possibili per sé e per il suo paese, nell’ottica di difendere senza compromessi l'interesse nazionale turco. Il 28 e il 29 novembre si è tenuto il meeting tra Ministri degli Esteri NATO a Bruxelles. Quello che fino a qualche mese fa sembrava il traguardo temporale auspicato e ragionevole per la Svezia per diventare il 32° membro dell’Alleanza Atlantica è sfuggito di nuovo a causa delle resistenze turche, oltre che a quelle ungheresi. Ma cerchiamo di mettere in ordine i vari pezzi di questo complicatissimo puzzle internazionale e vediamo insieme cosa è successo in questi ultimi mesi.
Il tassello più importante del puzzle - che continua da più di un anno a farsi e disfarsi a seconda degli imprevedibili cambi di direzione del leader turco - è stato fissato il 10 luglio: la sera prima dell’inizio del Summit NATO a Vilnius del 11 e 12 luglio, dove tutti i capi dei rispettivi governi dell’Alleanza Atlantica avevano appuntamento. Questa doveva essere l’occasione per accogliere la Svezia nella NATO con tutti gli onori, secondo le previsioni degli esperti. Ma nonostante il grande lavorio diplomatico del Segretario Generale della NATO, degli Stati Uniti e della Svezia stessa, le aspettative anche in questa occasione non si erano avverate. Si era invece arrivati a ridosso dell’incontro con ancora un sostanziale nulla di fatto. La sera prima dell’inizio ufficiale del Summit però arriva la svolta a sorpresa. Un incontro trilaterale alla presenza del Primo Ministro svedese Ulf Kristersson, del Presidente turco Erdoğan e del Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg sembra riuscire a strappare a Erdoğan un “clear commitment” alla ratifica, come descritto dalle parole di Stoltenberg. Dopo 14 mesi dalla richiesta di adesione, la Turchia almeno a parole da il suo assenso. Ulf Kristersson ammetterà poi di aver bevuto una birra con il suo staff in una sala conferenze quella sera stessa, ma che avrebbe riservato lo champagne solo per celebrare il termine ufficiale del processo di ratifica. L’inaspettata concessione di Erdoğan del 10 luglio è sancita da un comunicato stampa congiunto in 7 punti. Nel documento vengono riconosciuti gli obiettivi già raggiunti in questi mesi dalla Svezia, ma anche elencate alcune nuove richieste, tra cui una molto audace: si chiede un impegno attivo svedese a supporto dell’entrata della Turchia nell’Unione Europea e del miglioramento dei rapporti in termini di scambi commerciali e di libero movimento delle persone tra Turchia e UE. Una richiesta che prende alla sprovvista anche gli analisti più esperti e che viene definita diplomaticamente molto audace. Il collegamento tra i due processi di adesione viene infatti subito smentito sia da rappresentati della Commissione Europea che dal Cancelliere tedesco Scholz. Ma andiamo a vedere nel dettaglio i punti cruciali del comunicato stampa congiunto del 10 luglio.
Nei primi punti viene subito riconosciuto l’impegno della Svezia nell’aver fatto ciò che era stato concordato nel Trilateral Memorandum firmato da Finlandia, Svezia e Turchia al Summit di Madrid del giugno 2022. In esso venivano espresse le principali richieste turche affinché potesse essere ratificato l’accesso alla NATO dei due paesi nordici. La Finlandia, secondo la Turchia, aveva soddisfatto queste richieste già la scorsa primavera e infatti la ratifica dell’Assemblea parlamentare turca era arrivata a marzo 2023, permettendo alla Finlandia di diventare il 31° membro NATO in Aprile (come avevamo raccontato nelle scorse edizioni della nostra newsletter). La Svezia, malgrado i suoi numerosi sforzi - anche molto discussi e controversi - non aveva fino a quel momento soddisfatto appieno le istanze di Ankara. Ricordiamo che Stoccolma aveva già revocato a settembre 2022 il divieto di esportazioni di armi verso Turchia. A novembre 2022 era stata emendata la Costituzione svedese (grundlagar) per far sì che i membri di organizzazioni terroristiche, riconosciute come tali, non potessero più essere protetti dal diritto alla libertà di associazione (föreningsfriheten). Prima dell’adozione dell’emendamento, la Costituzione prevedeva che la libertà di associazione potesse essere limitata solo se l’associazione riguardava questioni militari o se l’appartenenza all’associazione comportava la persecuzione di un gruppo di persone sulla base dell’origine etnica, della razza o di condizioni simili. L'inclusione di limiti al diritto alla libera associazione con un'organizzazione terroristica non era quindi costituzionalmente valida senza una modifica delle grundlagar stesse. L’emendamento - poi entrato in vigore il 1 gennaio 2023 - ha così modificato (in grassetto) la disposizione sulla libertà di associazione: “La libertà di associazione può essere limitata solo per le associazioni che si dedicano o sostengono il terrorismo o le cui attività sono di natura militare o simile o comportano la persecuzione di un gruppo di persone sulla base dell’etnia, del colore della pelle o di altre condizioni simili”.
“Föreningsfriheten får begränsas endast när det gäller sammanslutningar som ägnar sig åt eller understöder terrorism eller vilkas verksamhet är av militär eller liknande natur eller innebär förföljelse av en folkgrupp på grund av etniskt ursprung, hudfärg eller annat liknande förhållande".
La riforma costituzionale era propedeutica alla nuova e più severa legge anti terrorismo - già in programma dal 2017, in seguito all’attentato di Stoccolma - che il governo ha presentato al Riksdag il 9 marzo come proposta di legge. Dopo un veloce iter parlamentare è stata poi approvata il 3 maggio a larga maggioranza, con 268 voti favorevoli e 34 contrari: degli otto partiti presenti in parlamento, solo i Verdi e il Partito di Sinistra si sono opposti. La nuova legge è entrata in vigore il 1 giugno e in definitiva crea dei nuovi reati legati alle organizzazioni terroristiche e in particolare rende un crimine l'appartenenza o il supporto a questi gruppi; qualsiasi tipo di finanziamento; la promozione e il reclutamento di membri; i viaggi all'estero per diventare membri (come succedeva nel caso dell’Islamic State) nonché il tentativo di commettere tali reati. Le pene possono arrivare ai 4 anni di reclusione, fino a 8 nei casi più gravi. Ad esprimere delle riserve sulla nuova legge non sono stati solo i due partiti precedentemente citati. La proposta del governo, poi diventata legge appunto, era stata criticata anche dal Lagrådet (Consiglio Legislativo), un organo indipendente preposto ad esprimere pareri sui disegni di legge che il governo presenta al parlamento, nel caso in cui si ravvisino profili di incostituzionalità. Questa funzione nei sistemi di common law viene definita judicial review. Nella sua analisi, il Lagrådet, aveva già a marzo evidenziato come la criminalizzazione dell’appartenenza a un'organizzazione terroristica "non può andare oltre quanto necessario in considerazione dello scopo che l'ha generata e nemmeno estendersi a tal punto da costituire una minaccia alla libera formazione dell’opinione, ovvero uno dei fondamenti della democrazia”. Il Lagrådet quindi cercava di sottolineare l’importanza della valutazione dello scopo che può spingere una determinata organizzazione a formarsi e a compiere determinati atti. Il riferimento storico esplicito che veniva fatto nel documento del Lagrådet è a quei movimenti movimenti di liberazione o di resistenza che hanno utilizzato in passato atti terroristici - come definiti nella nuova legge - come mezzo per raggiungere ciò che intendiamo per democrazia, concetto ovviamente molto scivoloso. Venivano citati movimenti come l’African National Congress (ANC) che ha combattuto in Sudafrica contro l’apartheid o il Front National pour la Libération du Sud Viêt Nam (FNL), che invece combatteva contro il regime dell'allora Vietnam del Sud. Entrambi i gruppi, secondo il Lagrådet, sarebbero potuti essere riconosciuti come organizzazioni terroristiche e perseguiti penalmente, se si fosse applicata la nuova legge. Il Lagrådet ricorda tra l’altro che quei movimenti in quegli anni godevano di un grande supporto in Svezia: molte persone raccoglievano fondi, fornivano locali per le riunioni, organizzavano circoli di studio e facevano propaganda. Tutte queste persone sarebbero oggi punibili per legge con il nuovo emendamento. Nonostante questa ed altre problematiche (che potete trovare ampiamente discusse nel documento originale del Lagrådet o in inglese in questa ottima analisi sul sito della Library of Congress), il governo non ha modificato la proposta poi diventata legge. Pur riconoscendo il ruolo di garanzia del Lagrådet, ha reputato più importante cercare di uniformare la legislazione svedese a quella degli altri Paesi nordici e alle altre legislazioni europee, per evitare il rischio che la Svezia fosse percepita come porto sicuro per le attività di determinate organizzazioni. Come fatto presente dal Ministro degli Esteri svedese Tobias Billström - in un’interessantissima intervista all’emittente tedesca DW - dopo la sua entrata in vigore a giugno, la legge era già stata utilizzata a luglio da un tribunale svedese per condannare a 4 anni e mezzo Yahya Güngör, rifugiato turco-curdo per tentata estorsione, detenzione illegale di armi e finanziamento di organizzazione terroristica. Nel caso specifico, Güngör a gennaio aveva minacciato un ristoratore curdo a Stoccolma, esplodendo alcuni colpi da arma da fuoco in aria affinché l’uomo gli consegnasse dei soldi per finanziare il PKK. L’estradizione in Turchia che era stata richiesta e ottenuta al primo livello giudizio era poi stata revocata dalla corte di appello a settembre, con la motivazione che Güngör - visti i suoi legami con il PKK - avrebbe potuto subire persecuzioni politiche in Turchia. Il caso Güngör è la prima condanna di sempre in Svezia per finanziamento illecito al PKK.
Questa doverosa digressione sulle modifiche legislative attuate in Svezia era utile a capire più nel dettaglio fin dove si è spinto il paese scandinavo fino ad ora, anche a causa delle pressioni turche. Pressioni esplicite, formalizzate sotto forma di accordo nel Trilateral Memorandum, ma anche implicite, fatte di diplomazia sotterranea e dichiarazioni contrastanti rilasciate a testate nazionali e internazionali. Ma Ankara non si è accontentata di aver convinto la Svezia alle importanti modifiche del suo sistema legislativo che abbiamo appena visto, ma ha cercato di ottenere ancora di più dalla sua posizione di forza. Al punto 3 del comunicato stampa congiunto del 10 luglio, Svezia e Turchia affermano di voler continuare a collaborare nel contrasto al terrorismo, non limitandosi solo a quanto scritto nel Trilateral Memorandum, ma istituendo un nuovo organismo bilaterale denominato Bilateral Security Compact: che farà sì che i due paesi si incontrino annualmente a livello ministeriale per assicurarsi che la lotta al terrorismo continui senza ostacoli. Stoccolma dovrà inoltre presentare unaroadmap del suo continuo sforzo di contrasto al terrorismo, con esplicito riferimento alle organizzazioni curde che osteggiano Erdoğan: PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan), YPG (Unità di Protezione Popolare), PYD (Partito dell’Unione Democratica) e FETÖ (organizzazione che fa capo a Fethullah Gülen, principale ricercato turco e esiliato negli Stati Uniti). Il punto 4 del comunicato stampa garantisce (alla Turchia [ndr.]) che la lotta e gli sforzi al terrorismo (leggi sempre organizzazioni curde [ndr.]) continuino anche dopo lo sblocco dell’adesione della Svezia alla NATO, cosa che invece alcuni proprio nel paese scandinavo chiedono venga ridimensionata, come per esempio la giornalista curdo-svedese Shamm Shamayi Salih con un articolo di opinione sul Dagens Nyheter. In questo modo Erdoğan cerca di assicurarsi che la Svezia non possa fare marcia indietro dopo aver raggiunto il suo obiettivo di accesso nella NATO. Inoltre l’obiettivo del leader turco è quello di elevare il terrorismo a minaccia esistenziale per l’intera NATO - accanto alla minaccia russa - ottenendo anche la creazione di uno Special Coordinator for Counter-Terrorism, una nuova figura da istituire nella struttura burocratica dell’Alleanza Atlantica. Proprio il 12 ottobre Jens Stoltenberg ha nominato Thomas Goffus - funzionario del governo statunitense - per la carica.
Ma come precedentemente accennato, a Vilnius il presidente Erdoğan non si è limitato a riconoscere gli obiettivi già raggiunti dal suo futuro alleato svedese, ma ha alzato ancora la posta, forte della sua posizione. Secondo Rich Outzen la strategia di Erdoğan è sempre stata quella di voler sì approvare la richiesta di adesione svedese, ma solo negoziando le migliori condizioni per la sua parte. E quale miglior modo se non farlo a ridosso del Summit a Vilnius? Con la fretta degli altri membri NATO di arrivare ad un risultato e riuscire a strappare un via libera a Erdogan e quindi una chiara possibilità per il leader turco di ottenere più concessioni possibili. Ma di quali concessioni stiamo parlando? Ne avevamo già discusso nell’edizione di maggio di Voci di Svezia: la vendita alla Turchia da parte statunitense di una partita di jet da combattimento F-16 e una ottantina di kit di ammodernamento per aerei già in possesso turco, per una commessa totale da più di 20 miliardi di dollari, che Ankara attende da mesi che il Congresso americano approvi. Fino ad ora il Congresso americano non ha approvato la vendita sia per lo stallo in cui Erdoğan ha lasciato l’alleato svedese, ma anche per questioni legate agli attuali limiti dello stato di diritto in Turchia e alla posizione di Ankara sulla Siria. Anche se a livello ufficiale l’amministrazione americana e il governo svedese hanno più volte minimizzato e smentito qualsiasi collegamento tra le due questioni, è inevitabile che nel grande domino delle relazioni internazionali le leve e gli incentivi per raggiungere un risultato tra due paesi siano multiple e spesso passino anche per accordi bilaterali con paesi che, almeno apparentemente, non rientrano tra le due parti inizialmente in questione. La realtà è che l’amministrazione Biden ha ripetutamente cercato in questi mesi - anche proprio a ridosso del Summit NATO di Vilnius - di fare legittime pressioni affinché gli ultimi membri contrari della Commissione Affari Esteri del Congresso americano votino a favore della vendita dei jet alla Turchia. L’opposizione però è bipartisan: si oppongono sia membri del partito repubblicano che democratico. E le motivazioni di ognuno di loro sono molteplici e non solo legate allo stallo svedese ma anche, per esempio, alle storiche ma sempre vive tensioni tra Turchia e Grecia. Ma come si trova scritto nel comunicato stampa congiunto, le concessioni che si è assicurato Erdoğan vanno al di là dei soli jet. Il punto 5 sancisce un impegno reciproco di Svezia e Turchia (leggi sempre impegno della Svezia verso il futuro alleato turco [ndr.]) ad eliminare restrizioni, barriere o sanzioni commerciali o a livello di investimenti tra Alleati NATO in ambito militare e di difesa. Questo punto è cruciale, perché sin dal 2019 l’Occidente aveva imposto restrizioni all’export di armi verso la Turchia in risposta all’acquisto di armi dalla Russia da parte di Ankara e della parziale invasione del Nord della Siria. Per Erdoğan è di vitale importanza l’estinzione di queste sanzioni per motivi strategici e per promuovere lo sviluppo economico del proprio paese, ma anche per motivi di politica interna, legati a rapporti di forza e clientelari: varie imprese turche del settore della difesa sono legate a uomini che rispondono direttamente al presidente turco. Un esempio su tutti è il suo celebre genero Selçuk Bayraktar; ingegnere a capo dell’azienda di famiglia Baykar, azienda strategica per la Turchia e sicuramente la più importante in ambito militare. I droni TB2 prodotti dalla Baykarsono tra i più esportati al mondo, venduti persino all’Ucraina per combattere contro la Russia.
La sorpresa più incredibile che il grande negoziatore turco Erdoğan riesce ad inserire nella trattativa con la Svezia compare però al punto 6 del comunicato stampa congiunto. Erdoğan chiede e ottiene un impegno attivo della Svezia a supporto dell’entrata della Turchia nell’Unione Europea e del miglioramento dei rapporti in termini di scambi commerciali e di libero movimento delle persone. Inoltre si definisce un impegno reciproco dei due paesi nel rafforzamento della cooperazione economica, degli scambi commerciali e degli investimenti reciproci tramite il Turkey-Sweden Joint Economic Trade Committee (un organismo creato nel 2014 e che era stato riesumato nel 2021). La nuova istanza turca viene svelata inaspettatamente in una conferenza stampa che Erdoğan organizza all’aeroporto di Istanbul proprio il 10 luglio, poco prima di imbarcarsi per Vilnius. La richiesta, come abbiamo già accennato, prende alla sprovvista anche gli analisti più esperti e viene definita diplomaticamente molto audace. Il collegamento tra i due processi di adesione viene smentito sia da rappresentati della Commissione Europea che dagli Stati Membri UE. La Turchia dal 1999 ha lo status di paese candidato ad entrare nell’Unione Europea. Ma a seguito della sua instabilità politica ed economica e alla ripetute violazioni ai fondamenti dello stato di diritto, il suo dossier è bloccato da tempo. Ankara aveva tra l’altro già fatto richiesta di adesione nel 1959 all’allora Comunità Economica Europea (CEE). Nel 2015 l’Unione Europea e la Turchia iniziano una collaborazione più stretta dopo l’accordo per il blocco dei migranti sulle coste turche, anche se le relazioni rimangono molto tese. Ma ciò che interessa di più Erdoğan - ora che può vantare una nuova e rinvigorita rilevanza strategica grazie al suo ruolo di mediatore con la Russia, di membro NATO da cui dipende l’entrata della Svezia e di potenziale mediatore anche nel conflitto israelo-palestinese - è ridiscutere due temi fondamentali nei rapporti tra Turchia e Unione Europea. Il primo è il rinnovo dei termini che definiscono l’Unione Doganale tra i due paesi, in atto già dal 1995 ma che richiede un aggiornamento sulla base delle nuove catene di approvvigionamento (supply chains) globali, derivanti anche dal mutamento delle tecnologie prodotte da ciascun paese. Il secondo tema, ancora più caro a Erdoğan, è la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchiper poter muoversi liberamente attraverso paesi dell’area Schengen. Entrambe le istanze vengono esplicitamente citate al punto 6 del comunicato stampa congiunto e la Svezia si impegna formalmente a supportarle nelle sedi opportune.
All’indomani della firma del Protocollo di adesione della Svezia alla Nato da parte di Erdoğan del 23 ottobre, il Segretario Generale della Alleanza Atlantica Jens Stoltenberg è stato in visita a Stoccolma in occasione del NATO Industry Forum 2023: un evento tenutosi appunto il 24 e il 25 ottobre in cui si è discusso delle capacità produttive dell’industria bellica dei paesi NATO, dove si sono incontrate centinaia di aziende del settore della difesa, funzionari NATO militari e civili e rappresentanti di varie istituzioni. In questa occasione Stoltenberg ha avuto modo di ricordare ancora una volta - in una conferenza stampa con il Primo Ministro Ulf Kristersson - come la Svezia sia pronta sotto tutti gli aspetti ad entrare a far parte dell’Alleanza e che l’accordo raggiunto con la Turchia 10 luglio è ormai un punto fermo. Le proteste per strada da parte di attivisti contro Stoltenberg e contro le attività della NATO non sono mancate, anche se bisogna ricordare che il consenso degli svedesi all'entrata nell'Alleanza durante questi mesi è salito dal 48% a circa il 70%, ribaltando quindi quella che era la sensibilità del paese scandinavo degli scorsi anni su questa specifica questione. Sebbene comunque la Svezia sia stata da ormai almeno una ventina d’anni uno stretto partner della NATO, l’adesione porterà un nuovo ed elevato coordinamento tra gli alleati, permettendo ai funzionari svedesi di entrare a far parte degli organi decisionali dell’Alleanza, ma anche alle truppe svedesi di essere utilizzate in missione congiunte dei paesi NATO. Fino ad ora alle truppe alleate era permesso di operare su suolo svedese solo in caso di conflitto, ma quando l’adesione sarà completata alle forze militari alleate sarà permesso di dispiegarsi e condurre delle operazioni su territorio svedese, secondo gli accordi stipulati. Già durante il mese di ottobre, così come nei mesi scorsi, si sono susseguite collaborazioni ed esercitazioni militari congiunte tra la Svezia e i futuri alleati NATO. La portaerei britannica HMS Queen Elizabeth a metà ottobre ha visitato il porto di Göteborg mentre unità navali britanniche e finlandesi hanno effettuato un’esercitazione con la marina svedese attorno all’isola di Gotland nell’ambito del Joint Expeditionary Force (JEF). Il JEF è un quadro di cooperazione di difesa a guida britannica, destinata principalmente ad operazioni nell’area del Mar Baltico, dell’Artico e nel Nord Atlantico.
In chiusura di questo lungo approfondimento che speriamo possa essere stato utile, ricordiamo brevemente che anche l’Ungheria non ha ancora ratificato l’accesso di Stoccolma nell’Alleanza Atlantica. Budapest, così come era successo in primavera per l’adesione della Finlandia, si muove di pari passo con Ankara; pur avendo richieste meno stringenti, fa pressioni almeno a mezzo stampa sulla Svezia. A settembre il Ministro degli Esteri ungherese ha accusato la stampa e i politici svedesi - inviando una lettera al suo corrispettivo svedese Tobias Billström e pubblicandola anche su X (già Twitter) - di fare continui commenti e accuse sullo stato della democrazia in Ungheria, che a suo parere non sarebbero né corretti né leali, oltre che in contraddizione con la volontà della Svezia di diventare un futuro alleato dell’Ungheria. Billström ha ricordato - nella sua intervista a DW - che l'Ungheria ha affermato in più di un’occasione che non sarà l’ultimo paese a ratificare l’accesso svedese alla NATO. E che ciò significa che la stessa Ungheria si è già impegnata a far procedere l’iter burocratico dal momento che la Turchia ha avviato il suo. Manca solo il voto finale dell’assemblea parlamentare ungherese per completare il processo: i lavori delle commissioni parlamentari si sono già conclusi. Inoltre - sottolinea sempre Billström - c’è una grande differenza tra il processo di ratifica turco e quello ungherese: con la Turchia era stato firmato il Trilateral Memorandum, con delle richieste chiare ed esplicite da parte turca. Mentre l’Ungheria non ha mai avanzato delle istanze formali a condizione della ratifica dell’adesione della Svezia, per cui la netta posizione del governo svedese è che l’Ungheria dovrebbe concludere il processo legislativo al più presto.
Proprio in queste ore - a margine dell’incontro dei Ministri degli Esteri NATO a Bruxelles - è arrivato l’annuncio che Erdoğan sarà in visita ufficiale a Budapest il 18 dicembre. Probabilmente il leader turco e Viktor Orbán, anche se il tema dell’incontro non sarà ufficialmente questo, discuteranno di un eventuale coordinamento per sbloccare o continuare a bloccare il Protocollo di adesione svedese. Le ultime indiscrezioni fanno trapelare che la ratifica di Ankara potrebbe infine arrivare entro la fine dell’anno, sarà questo il regalo di Natale che Erdoğan sta preparando per il suo futuro alleato scandinavo ? O saranno le solite dichiarazioni per alzare la posta in gioco e provare a strappare ancora una volta nuove concessioni agli alleati NATO?